(una pagina un fotogramma una scena)

(una pagina un fotogramma una frase una parola un uomo una donna un bambino una scena un istante un ricordo)

sabato 2 novembre 2013

"Le farfalle ballano" - Pablo Neruda






LE FARFALLE BALLANO

   Le farfalle ballano 
    velocemente 
    un ballo 
    rosso 
    nero 
    arancione 
    verde 
    azzurro 
    bianco 
    granata 
    giallo 
   violetto 
   nell'aria 
   nei fiori 
   nel nulla 
   sempre volanti 
   consecutive 
   e remote.


PABLO NERUDA 

domenica 8 settembre 2013

"Una canzone laggiù..." - Tu Fu

"Una canzone laggiù"


Una canzone laggiù...
E' un mendicante.
Se lui canta,
quel vecchio 
che non ha mai posseduto nulla,
perchè piangi tu
che hai così bei ricordi?



domenica 11 agosto 2013

"Primo amore"

"Primo amore"

di Matteo Garrone

(2004)


"La testa sempre insieme col corpo. Togliere tutto, bruciare tutto, fondere le ceneri. Alla fine resta solo quello che conta veramente."




La storia narrata in "Primo amore", di Matteo Garrone, è liberamente ispirata al libro "Il cacciatore di anoressiche" di Mario Mariolini. Volendo evitare di pensare alla vera storia di Mariolini ed alla sua giovane vittima, si riesce a godere della bellezza acerba del film. Vittorio, piccolo imprenditore vicentino - nell'ambito della produzione orafa - incontra Sonia attraverso un annuncio per cuori solitari. I due iniziano a conoscersi ed a frequentarsi. Vittorio segue, intanto, un percorso di psicoterapia in quanto attratto soltanto da giovani magre, anzi magrissime, fino all'eccesso. La storia continua anche perché Sonia, soggiogata, accetta di diminuire il suo peso: lo fa come atto d'amore, ignorando - o non riuscendo a comprendere - la drammaticità dell'ossessione di Vittorio.
All'inizio quella di Sonia sembra una scelta consapevole ma, a lungo andare, la sua decisione si trasforma in un incubo.



martedì 6 agosto 2013

"In treatment" (versione americana)

In treatment




(terza stagione, prima puntata)


In Treatment è una serie televisiva, incentrata sulla figura di uno psicoterapeuta. Forse non è davvero psicanalisi quella di cui si parla ma la serie, d'altro canto, è assolutamente innovativa. La versione distribuita negli Stati Uniti ha come protagonista l'analista Paul Weston, interpretato da Gabriel Byrne; nella versione italiana il ruolo è ricoperto da Sergio Castellitto. L'opera si ispira liberamente alla serie israeliana BeTipul, creata dal regista Hagai Levi.  

Nella prima stagione Paul dovrà affrontare nella seduta del lunedì Laura, innamorata di lui; il martedì il paziente è Alex, giovane pilota di caccia in crisi dopo aver sganciato una bomba su una scuola islamica in Iraq; il mercoledì Paul deve verificare la salute mentale della giovane atleta Sophie, in seguito a quello che sembra un tentativo di suicidio; il giovedì, invece, sedute di terapia di coppia con Amy e Jake. Il venerdì Paul diventa invece paziente, sottoponendosi a sedute con la sua vecchia amica e terapeuta Gina. Sullo sfondo delle sedute, Paul si ritrova ad affrontare una difficile situazione familiare, in particolare con la moglie, Kate.
La versione italiana è molto simile.



sabato 3 agosto 2013

"Love story"

"Love story"
(1970)


"Che cosa si può dire di una ragazza morta a venticinque anni? Che era bella? Che era intelligente? Che amava Mozart e Bach. Ah, e i Beatles. E me."


"Non credo che esista sul serio un mondo migliore di questo. Dopotutto che c'è di più bello di Mozart, o di Bach. O di te"


"Quando le nostre anime si ergono possenti e diritte
faccia a faccia, silenziose
avvicinandosi quasi a toccarsi
finché le lunghe ali divampano e si incendiano sulle due ricurve punte
quale male amaro riuscirà chiunque a farci
sì da impedirci di essere felici?
Salendo, gli angeli sempre più in alto ci sospingeranno
e i sospiri loro faranno cadere orbite dorate di perfette canzoni
nel nostro profondo silenzio.
Facci continuare a stare sulla tera, Beneamato,
dove gli incongrui e avversi umori degli uomini
respingono lontano e isolano i puri spiriti
e permettono un posto dove stare e amare per un giorno
con intorno le tenebre
nell'ora della morte."


 "Io ti offro la mia mano,
io ti offro il mio amore più prezioso del denaro,
io ti offro me stesso
e in luogo di prediche e di leggi
vuoi tu darmi te stessa?
Vuoi camminare con me?
Vuoi che restiamo uniti finché avremo vita?"


 

venerdì 2 agosto 2013

"Fontamara"

"Fontamara"


« In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch'è finito. »

(Fontamara, Ignazio Silone)


Fontamara è un film del 1977 diretto dal regista Carlo Lizzani. E' basato, in maniera piuttosto fedele,  sull'omonimo romanzo di Ignazio Silone ed è interpretato da un giovane Michele Placido nel ruolo di Berardo Viola. Gran parte dei dialoghi si svolgono in dialetto marsicano.



Estate 1927: i contadini - i "cafoni" - della Marsica vivono di stenti coltivando per i padroni la terra pingue del Fucino e per sé le pietraie del monte. Privati, con la frode, dell'acqua (la famosa questione: i tre quarti dell'acqua andranno a noi e i tre quarti del'acqua che rimane ai fontamaresi), si ribellano ma dovranno scontrarsi con i picchiatori fascisti. A subirne le conseguenze saranno soprattutto le donne. Il protagonista e capo della protesta, Berardo Viola, emigrato a Roma, è arrestato e massacrato in carcere. Il fim è svelto, nitido, corposo. Lizzani riesce a rievocare con pensosa malinconia un mondo contadino in cui si riflette l'irrisolta questione della nazione italiana, lo squilibrio tra Nord e Sud, tra sviluppo e progresso. Una delle migliori interpretazioni di Placido.


(Michele Placido e Antonella Murgia)





martedì 23 luglio 2013

"Tolgo il disturbo"

"Tolgo il disturbo"

Regia di Dino Risi (1990)


Un ex direttore di banca (Vittorio Gassman) torna dopo diciotto anni di manicomio nella sua bella casa romana, dove tutti gli sono estranei, tranne la nipotina di nove anni. Attraverso la loro storia, Dino Risi - che ha scritto il film con Enrico Oldini e Bernardino Zapponi - elogia la fantasia, il non conformismo, i sentimenti estremi. Diseguale nell'impianto narrativo, forse non si tratta di un film riuscito ma lo riscatta - oltre alla presenza di Gassman -  il malinconico epilogo a Stresa, sul Lago Maggiore, con il dialogo di ricordi tra il vecchio e la piccola. "Nonno, non morire ti prego", è la frase che più rimane impressa nella mente delo spettatore. Al termine di una colazione assieme, Augusto accetta finalmente la sua condizione e torna alla sua solitudine, allontanandosi sulle note del Valzer dei pattinatori.



domenica 21 luglio 2013

"La ragazza di Bube"

"La ragazza di Bube"

Regia Luigi Comencini



"Quando due sono fidanzati è la donna che deve tenere indietro l'uomo, 
se non dove va a finire la poesia dell'amore?"


Bellissima storia di Mara, ragazza toscana che diventa donna sacrificando molti anni della sua vita per Bube, un ex partigiano condannato a quattordici anni di carcere per omicidio. Dall'omonimo romanzo (1960, premio Strega) di Carlo Cassola, il film ne è una riduzione fedele. Mara è "la prima apparizione umana positiva di grande statura della nuova narrativa italiana" (Italo Calvino). Nel film gli altri personaggi sono quasi al buio, così com'è sfocato lo sfondo storico. Pur non parlando da toscana, Claudia Cardinale, finalmente non doppiata, è credibile, docile, tenera. Mara e Bube, splendidi nel bellissimo bianco e nero di Gianni di Venanzo (1920-66).

"Mimì metallurgico ferito nell'onore"


"Mimì metallurgico ferito nell'onore"

Regia Lina WertmÜller


(scena litigio Giancarlo Giannini Agostina Belli)


Mimì, operaio siciliano di sinistra, viene licenziato a causa delle sue idee politiche. Costretto ad emigrare al nord, a Torino, per cercare un nuovo impiego, l'uomo lascia la moglie Rosaria. Giunto a Torino, Mimì trova lavoro come edile presso l'Associazione Fratelli Siciliani, che gli offre anche una sistemazione. Ben presto, però, Mimì capisce che l'associazione assistenziale è solo una facciata per coprire una serie di attività illecite della mafia. Dopo un attimo di titubanza, Mimì approfitta della situazione e fa carriera, grazie alla protezione
mafiosa, in un'industria metallurgica. Nel frattempo si trova anche un'amante: Fiore, dalla quale ha un figlio. Quando però ritorna a Catania, con tanto di amante al seguito, Mimì scopre che sua moglie aspetta un figlio da un brigadiere della finanza. Deciso a vendicarsi Mimì seduce a sua volta la moglie del brigadiere e la mette incinta. Dopo che Mimì ha rivelato la verità al brigadiere, un sicario della mafia si mette in mezzo e per paura che l'uomo abbia una reazione contro Mimì, lo uccide. Mimì passa poco tempo in prigione finché la mafia lo fa scarcerare. All'uscita di prigione, diventa galoppino elettorale di un noto esponente mafioso. Si ritrova la moglie e l'amante con i rispettivi figli. Ma un giorno Fiore, l'unica che lo amava davvero, disillusa dalla situazione, lo abbandona. 



sabato 6 luglio 2013

"Il pranzo di Babette"








Tratto da un racconto di Karen Blixen e Oscar per il miglior film straniero, Il pranzo di Babette è un film che rinfranca i sensi e il cuore ma, al tempo stesso e a differenza di molti film sul cibo, non è una storia voluttuosa. È gioioso, a tratti divertente, e in più fa compiere una sorta di cammino, quasi un’ascesi. Perché l'obiettivo del pranzo di Babette non è semplicemente la gratificazione dei sensi fine a sé stessa. Dietro la storia apparentemente semplice del film c’è una sorta di favola (o parabola) sulla fede e la vita. Una voce narrante ci presenta una coppia di anziane sorelle, figlie di un pastore protestante, ora defunto, sulla costa dello Jutland in Danimarca, i cui nomi sono Martina (Birgitte Federspiel) e Filippa (Bodil Kjer) – “seguaci di Martin Lutero e del suo amico, Filippo Melantone”. Queste pie sorelle conducono una vita tranquilla di servizio tra i rimanenti fedeli del padre defunto, una manciata di vecchi di un piccolo villaggio sulla costa, che è allo stesso tempo quasi una comunità religiosa. Nella loro gioventù, sia Martina che Filippa erano state corteggiate, ma con la prospettiva di doversi allontanare dal loro padre e dalla sua missione.
Queste avances, con grande dolore dei pretendenti, sono sempre state respinte (in realtà accettare non era neanche in discussione). Nel flashback vediamo le sorelle nel fiore della giovinezza che vivono col padre: Martina è bella, ma così inaccessibile che un galante ufficiale di cavalleria che si innamora di lei realizza subito, senza che lei dica una parola, che non la potrà mai conquistare. Filippa, ha una grande voce e accetta lezioni di canto (il canto è il modo migliore per glorificare Dio) da un famoso cantante d'opera francese, Achille Papin. Ma la sua formazione arriva a un punto (nel corso di un duetto dal “Don Giovanni”), nel quale i testi acquistano rilevanza personale: Papin canta l'invito di Don Giovanni a Zerlina. Alla fine del pezzo Zerlina (pur avendo “paura della sua gioia”) cede; Filippa invece non può, e allontana Papin (o meglio, manda il padre a farlo). In un certo senso, Martina e Filippa vivono come suore, consacrate alla verginità e alla vita religiosa, ma come senza rendersi conto neanche di ciò cui hanno rinunciato. In più, dopo la morte del pastore, vecchi litigi hanno cominciato a ricomparire nella comunità e anche gli sforzi delle sorelle non sembrano più bastare. Pur nel tentativo di recuperare o conservare la purezza originaria da cui nacque, sottili divisioni tendono a distruggere la comunità. La storia si ripete: il padre di Martina e Filippa ha lasciato la chiesa della sua gioventù per fondare una nuova setta, dedicata (come i nomi delle sue figlie suggeriscono) a recuperare i principi della Riforma. Mentre viveva, il padre carismatico di Martina e Filippa è stato in grado di tenere insieme il gregge, la sua personalità era al centro della loro vita comunitaria e religiosa che, non avendo né liturgia né sacramenti, è stata incentrata sulla predicazione, e pertanto sul pastore. Senza di lui, la religione della piccola comunità è diventata astratta e remota, una serie di fragili regole, piuttosto che una fede vissuta. In questa situazione arriva una figura inaspettata: Babette (Stéphane Audran), rifugiata dalla violenza rivoluzionaria della Comune di Parigi del 1871. Babette reca una lettera di presentazione di Monsieur Papin che fa appello al buon cuore delle sorelle, chiedendo per lei solo una camera e la possibilità di servirle. Martina e Filippa non credono, naturalmente, che loro o la loro comunità potrebbero avere bisogno di Babette. Dopo tutto, lei è francese, presumibilmente cattolica (“papista”, come il padre delle sorelle aveva chiamato Papin), per loro praticamente una pagana. Cosa mai potrà venire di buono da lei? Le pie sorelle vivono per servire, ma ignorano tutto dell’essere serviti. 
Ciò nonostante la francese si insedia e viene apprezzata da tutti. Dopo anni, Babette vuole preparare una festa per la piccola comunità, in occasione del compleanno del defunto padre delle sorelle. Martina e Filippa inizialmente acconsentono ai piani della cuoca, ma il consenso si trasforma in allarme quando cominciano a comprendere la portata dei suoi piani. Che sorta di dissolutezza peccaminosa sta portando la donna? Ancora una volta, le sorelle hanno paura di troppa gioia. La festa è insieme un pasto e anche (in un modo che le sorelle non possono cogliere), un sacrificio (Babette ha speso tutto quel che aveva per preparare il pranzo) che ottiene un imprevisto effetto. Martina, Filippa e gli altri si siedono al tavolo determinati a non farsi prendere dalle gioie del cibo, ma il pasto opera sottilmente su di loro in modo inaspettato.
Alcuni rimpiangono il compianto fondatore, rendendo il pasto un memoriale, altri fanno ammenda delle loro colpe; un ospite casuale, che non è a conoscenza della presenza di Babette tra gli abitanti del villaggio, percepisce la qualità del pranzo e la mano dietro di essa, (se non è esagerato il paragone, proprio come i discepoli sulla strada di Emmaus hanno riconosciuto Gesù da come ha dato loro il pane). Per questo, potremmo dire che Il pranzo di Babette è la pacata celebrazione di una Grazia che viene incontro ad ogni momento e riscatta gli errori, i sacrifici e le sconfitte. E qualunque cosa sia stata abbandonata o persa, viene restituita in sovrabbondanza.

Beppe Musicco


(da: www.sentieridelcinema.it)

venerdì 28 giugno 2013

"Fontamara"



Gli strani fatti che sto per raccontare si svolsero nel corso di un'estate a Fontamara. Ho dato questo nome a un antico e oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago di Fucino, nell'interno di una valle, a mezza costa tra le colline e la montagna. In seguito ho risaputo che il medesimo nome, in alcuni casi con piccole varianti, apparteneva già ad alcuni abitanti dell'Italia meridionale, e, fatto più grave, ho appurato che gli stessi strani avvenimenti in questo libro con fedeltà raccontati, sono accaduti in più luoghi, seppure non nella stessa epoca e sequenza. A me è sembrato però che queste non fossero ragioni valevoli perché la verità venisse sottaciuta. Anche certi nomi di persone, come Maria Francesco Giovanni Luca Antonio e tanti altri, sono assai frequenti; e sono comuni ad ognuno i fatti veramente importanti della vita: il nascere, l'amare, il soffrire, il morire; ma non per questo gli uomini si stancano di raccontarseli.

<<In capo a tutti c'è Dio, padrone de cielo. Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire che è finito.>>

Per vent'anni il solito cielo, circoscritto dall'anfiteatro delle montagne che serrano il Feudo come una barriera senza uscita; per vent'anni la solita terra, le solite piogge, il solito vento, la solita neve, le solite feste, i soliti cibi, le solite angustie, le solite pene, la solita miseria: la miseria ricevuta dai padri, che l'avevano ereditata dai nonni, e contro la quale il lavoro onesto non è mai servito proprio a niente. Le ingiustizie più crudeli vi erano così antiche da aver conquistato la stessa naturalezza della pioggia, del vento, della neve. La vita degli uomini, delle bestie e della terra sembrava così racchiusa in un cerchio immobile saldato dalla chiusa morsa delle montagne  e dalle vicende del tempo. Saldato in un cerchio naturale, immutabile, come in una specie di ergastolo.


venerdì 31 maggio 2013

LETTERA D'AMORE A DARIO - di Franca Rame.


LETTERA D'AMORE A DARIO

di Franca Rame.




CHI È DI SCENA.

Sono nata nel 1929.
Quando ero piccola, sette, otto anni, mi veniva in testa un pensiero che mi esaltava: morire.
Quando morirò?
Com'è quando si muore?
Come mi vestirò da morta?
Forse mamma mi metterà quel bel vestito che m'ha cucito lei di taffetà lilla pallido orlato da un bordino di pizzo d'oro.
"Sembri un angelo! Quanto è bella la mia bimba che compie gli anni!" mi diceva.
A volte mi stendevo sul lettone di mamma: vestito, calze, scarpe, velo bianco in testa, una corona del rosario tra le mani poste sul petto (tutta roba della Cresima), felice come una pasqua aspettavo che qualcuno mi venisse a cercare e si spaventasse.scoppiando in singhiozzi. "E' mortaaa! Franchina è mortaaaaa?!" E tutti a corrermi intorno piangendo. arrivavano i vicini, il prete e tutti rosariavano in coro.
Arrivasse un cane di un cane. Nessuno spuntava.
Nell'attesa mi addormentavo.
Al risveglio ero incazzata nera.
"La prossima volta vi faccio vedere io!" bisbigliavo minacciosa.
Poi mi sgridavo: "Cattiva, sei cattiva!!! Dare un dolore così grande alla tua mamma. Vergognati! Con tutti il bene che ti vuole."
"Ascoltami Franchina. - mi diceva mamma - ci sono delle regole nella vita che vanno rispettate, ogni giorno: non poltrire nel letto, la prima cosa che devi fare, come apri gli occhi è sorridere. Perché? Perché porta bene. La seconda correre in bagno, lavarti con l'acqua tiepida, orecchie comprese, velocemente, vestirti. Far colazione e via di corsa a scuola. Salutare con un sorriso le persone che conosci, se aggiungi al sorriso un ciao-ciao con la manina è ancora più gentile. Non dare confidenza ai maschi. Tenerli a rispettosa distanza. Non accettare dolci o regali da nessuno.specie se uomini. Non parlare mai con gli estranei. Mi raccomando bimba, non prendere freddo, d'inverno sempre la cuffietta di lana all'uncinetto con i pom-pom rosa che ti ha regalato la zia Ida.gli stivaletti rossi di Pia (mia sorella maggiore) che non le entrano più. Ti voglio bene-bene-bene." Lo ripeteva tre volte con ardore perché mi si inculcasse bene nel cervello. "Fai attenzione a tutto. come attraversi la strada.guai se vai sotto a una macchina. Ti rompi tutta.ricordati che ci ho messo nove mesi a farti!"
Me ne andavo felice.Un po' soprappensiero per quei nove mesi di lavoro per la mia mamma a farmi. E' stata impegnata per un bel po' di tempo.tutti quei mesi!
La vedevo intenta a mettere insieme i pezzi.
Ma dove li prendeva?

Forse c'eran dei negozi nascosti che li vendevano: "Vorrei due gambette con i piedini, due braccine con le manine, un corpicino, la testolina no.ho una bellissima bambola lenci di quando ero piccola.ci metto quella. "Chiederò a mamma, quando sarò più grande che mi spieghi come ha fatto a confezionarmi.
Ora siamo nel 2013. Da allora sono passati molti anni. Sono arrivata agli 84 il 18 luglio. Faremo una bella festa tutti insieme.
Quando Jacopo era piccolo, a Natale arrivavano regali da ogni parte.più i nostri.
Li posavamo tutti sul tavolone della sala da pranzo. Come il bimbo si svegliava lo si portava tenendolo in braccio davanti a tutto quello che aveva portato il Bambin Gesù. Ci si incantava a guardarlo.
Meraviglia, felicità, grida, risate. "Grazie Bambin Gesù.grazie!!!" gridava guardando verso il soffitto come fosse il cielo.poi seduto sul tappeto a scoprire e godersi i suoi giochi.
All'arrivo della torta con le candeline, non riuscivamo a convincerlo a soffiare per spegnerle.
"Lo devi fare! Soffia!!"
"Perché?"
"Perché cresci più in fretta! Soffia!"
Era un bimbo molto curioso e pensoso. Chiedeva sempre: e cosa vuol dire questo e perché no.Una volta sui 5 anni, stava appoggiato al davanzale del balcone su di una sedia con un filo in mano che agitava. "Che fai Jacopino?"
"Do da mangiare al vento."
Ero un po' preoccupata.
Mi diverto molto con le mie nipotine. Quando Mattea (la figlia di Jacopo) era piccola, sui sei anni e veniva a trovarci a Sala diCesenatico a passare l'estate con noi, le preparavo una festa alla grande. Compravo al mercato di tutto.non che spendessi tanto. Nascondevo i regalini spargendoli nel giardino tra alberi e cespugli e via con il gioco del "freddo e caldo": si girava di qua e di là.davo segnali dei nascondigli dicendo "fredddo. freddo. tiepidino caldino. caldo, caldissimo. oddio brucia!" Mattea infilava la manina nel cespuglio, trovava il pacchetto, si sedeva su prato e lo scartava mandando grida di gioia.
Una mia cara amica, Annamaria Annicelli aveva un grande negozio dove vendeva di tutto e mi regalò per Mattea un mare di Barbie con fidanzato Ken. Cartoncini con guardaroba completo: abiti per tutte le occasioni.
Come ogni estate per anni, arrivò la mia dolce bimba più bella che mai. Le sbatto un uovo con zucchero e cacao - la rusumàta si chiama a Milano - che le piace tanto. Se la mangia leccandosi i baffi.
"Vieni, andiamo a fare il gioco del caldo-freddo."
Lancia un urlo di felicità.
Le avevo preparata una festa alla grande. E via che si parte: freddo. freddo. tiepidino. caldo. caldissimo! E dal cespuglio estrae una Barbie.poi un'altra.poi il fidanzato Ken, cartelle con abiti.ad un certo punto si lascia andare sull'erba sfinita: "E' troppo nonna. è troppo!" Quando Jacopo, dopo tre mesi, veniva a prenderla era un momento triste per tutte e due. Ce ne stavamo abbracciate e silenziose in attesa della partenza. Saliva in macchina. La salutavo con la mano e mi scendevano le lacrime.pure lei piangeva. Cercavamo tutte e due di sorridere. ma si faceva fatica.
Una gran fatica.
Una volta, quando eravamo più giovani Dario ed io ci si faceva festa ai compleanni. Festa? Una festicciola.nulla di speciale. La torta, le candeline.dell'anno prima, qualche amica, amici.Ricordo invece un fantastico compleanno, il mio settantesimo a Sala di Cesenatico. Non mi aspettavo nulla di speciale. Invece.
Quella mattina mi svegliai un po' tardi, Jacopo venne a prendermi in camera dicendomi che Dario aveva bisogno di me.Neanche la mattina del mio compleanno posso restare disoccupata.scendo le scale, esco in veranda, e lì mi trovo una folla con i musicisti che suonavano, clown e maschere e tanta gente, amici venuti da ogni parte, ci saranno state cento persone, tutti a cantare tanti auguri a te.Mi sono messa ad abbracciare tutti uno per uno.Erano veramente tanti, che a un certo punto mi sono dovuta sedere.Anche per l'emozione. Poi siamo andati a mangiare fuori, sul porto canale di Cesenatico, e anche lì c'erano parecchi amici che erano venuti a festeggiarmi. Ogni tanto mi stupisco di quanta gente mi voglia bene. È proprio una grande fortuna.



UNA STELLA SUL LETTO?!

Una volta mi piaceva guardare il cielo di notte. Specie in inverno. Sottozero il blu è più intenso. Le stelle spiccano come brillanti.
Preziose.
Ieri notte niente. Ce ne erano poche ma una ha attirato la mia attenzione era una stella senza luce, piatta come fosse di plastica opaca.
"Vieni qui" le ho detto. hai dei problemi? Ti vedo giù.." In un attimo eccola sul mio letto, senza nemmeno rompere i vetri della finestra.
La guardo incredula. non so come comportarmi.
UNA STELLA SUL LETTO?!
L'astro si rizza su una punta. prendendo colore lentamente.
Una luce iridescente illumina la mia stanza.ma non smargiassa di chi vuol strafare.appena appena per farsi notare.
"E' così facile avere una stella vera in casa? Basta chiamarla?" penso. "E' facile per forza. - mi risponde - sono te."
"Sono una stella?" - dico senza meraviglia, anzi un po'seccata - mi stai prendendo per il sedere?" Avrei detto volentieri culo, ma non volevo darle confidenza.
"Dì pure culo cara, non mi scandalizzo." e fa una risata a piena gola.
Una stella che dice culo e mi sghignazza dietro!
Ero scandalizzata! Non c'è più religione!
"Bigottona! Son qui per aiutarti. sono te, quindi la tua più grande amica. Sei giù di morale.hai pensieri fissi che ti fan dormire male. Perché vuoi ammazzarti?"
Mi manca il respiro. Un qualcosa mi sale lento dallo stomaco alla gola: un magone che mi soffoca.
"Lasciati andare. non trattenere le lacrime.ci sono io vicino a te.sono scesa apposta da lassù.tutta per te!"
Le lacrime non si fanno pregare, si rincorrono sulle mie guance una dopo l'altra. I singhiozzi escono strazianti anche se in realtà non si sentono.
Allunga una punta, quella di sinistra e mi fa una carezza.
Ma dai.sto sognando.la stella sul letto in punta di stella che mi accarezza con la sinistra.una stella mancina.Mio dio.ha pure 5 punte!
Una stella delle Brigate Rosse!
"Non stai sognando.conosco la ragione della tua voglia di morire ma solo se ne parli, se svisceriamo il problema insieme, lo risolviamo. Parola di Stella!"
Respiro profondamente. Sto per dire qualcosa che mi costa.
"Sono tanto triste perché sono disoccupata. Ho perso il mio lavoro."
"Come hai perso il tuo lavoro? Sei dalla mattina alla sera al computer.scrivi, scrivi, scrivi senza alzare nemmeno gli occhi."
"Sì lo so, ma questo non è il mio lavoro. Sono nata il teatro, a 8 giorni ero già in scena.ho sempre recitato. Da 8 giorni a 81 anni. avevamo in scena "L'anomalo bicefalo" una satira su Berlusconi. Ci divertivamo un sacco! Ma eravamo nell''83. quanti anni son passati?"
"Ti stai dimenticando di Mistero buffo,..L'avete fatto tanto."
"Sì hai ragione.ma ora non si fa più nemmeno quello.
Poi uno spettacolo ogni morte di vescovo, che ne muoiono pochissimi.
Sono felice di aiutare Dario che è il MIO TUTTO, curare i suoi testi, prepararli per la stampa, ma mi manca qualcosa. quel qualcosa che non mi fa amare più la vita.
È per questo che voglio morire.
Ma non so come fare.
Immersa nella vasca da bagno e tagliarmi le vene?
Poi penso allo spavento di chi mi trova in tutto quel rosso.
Buttarmi dalla finestra, ma sotto ci sono gli alberi e finisce che mi rompo tutta senza morire: ingessata dalla testa ai piedi.
Avvelenarmi con sonniferi.ci ho già provato una volta.tre, quattro pastiglie e acqua. avanti così per un po' e mi sono addormentata con la testa sul tavolo.
Insomma, morire è difficilissimo!
A parte che mi ferma anche il dolore che darei a Dario a Jacopo alla mia famiglia, Nora, Mattea, Jaele (la più bella della famiglia) e tutto il parentado.alle amiche, amici.
Penso anche al mio funerale e qui, sorrido. Donne, tante donne, tutte quelle che ho aiutato, che mi sono state vicino, amiche e anche nemiche. vestite di rosso che cantano "bella ciao".
Che tristezza essere disoccupata. "Hai messo in scena molti spettacoli che hanno avuto gran successo ed eri sola - prosegue la Stella.Tutta casa letto e chiesa, Parliamo di DonneSesso? Grazie tanto per gradire, Legami pure che tanto spacco tutto lo stesso, Il funerale del padrone, Il pupazzo giapponese, Michele 'Lu Lanzone e altri ancora che non mi ricordo. dovrei andare su internet ma non ne ho voglia.
Perché non ne rimetti uno in scena?"
Ma.sono abituata con Dario.

L'ho conosciuto in palcoscenico nel '51. abbiam fatto tourné, avuto successo. anche troppo. Dopo anni di fermo abbiam debuttato per due soli spettacoli in settembre del 2012 con "Picasso desnudo".

E adesssssso? Ci metto sei S per sottolinearti bene il concetto. Adesso nulla! Nessun programma futuro. Deglutisco per mandar giù il magone
Dovresti aiutarmi tu Stella, dammi la forza. la voglia.
"Che piagnona! - mi urla, mi hai proprio rotto i.No, non lo posso dire perché lassù si incaz.Mamma mia solo parolacce mi vengono.è perché sono scesa in terra.qui ci si sporca!
Potresti mettere in scena un testo da recitarti tutto da sola.hai un mare di materiale a disposizione. Li conosco tutti i tuoi monologhimai rappresentati."
"Ma smettila, conosci i miei monologhi.."
"Certo, sono te!"
"Ah sì.Hai ragione.Sì, potrei farlo.ma poi penso a Dario la sera sperduto davanti alla tv. che se ne va a letto senza chiudere né tapparelle, né porta. Lo sento che si gira e rigira tra le lenzuola pensandomi.preoccupandosi e.quindi sto qui, accanto a lui. Lo amo tantissimo.ma sono proprio triste. infelice.ciao me ne vado."
"Ma dove vai? Ti vuoi nascondere a piangere? Piangi qui piccola.tra le mie braccia."All'improvviso si ingrandisce a vista d'occhio si trasforma in una coperta di lana morbida lucente e mi avvolge tutta. Un brivido di piacere attraversa il mio corpo. mi sento via via rilassata e sulla bocca mi spunta un sorriso.il più dolce della mia vita
Caro Dario tutto quanto ho scritto è per dirti che se non torno in teatro muoio di malinconia. Un bacio grande.




Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/30/lettera-damore-a-dario/483928/