Una mattina di febbraio, mentre la maestra si sforzava di farmi scrivere alla lavagna, mio padre piombò in classe. Avanzò fino alla cattedra senza far parola e salutò la maestra con un secco buongiorno.
«Buongiorno», gli rispose la maestra mentre lui le s'impalò davanti irrigidito.
Alla sua vista gli scolari zittirono tutti sui banchi. Mio padre venne sùbito al sodo.
«Sono venuto a riprendermi il ragazzo. Mi serve a governare le pecore e a custodirle... È mio. E io sono solo. Non posso continuare a lasciare il gregge incustodito quando vengo qui a Siligo a portare il latte in caseificio o a portarmi via le provviste. lo non faccio solo il pastore. Per tirare avanti onestamente e senza derubare il vicino, mi tocca coltivare una parte della tanca a grano per il fabbisogno di casa. Gavino, anche se è piccolo, custodirà le pecore mentre io marrerò il grano o poterò la vigna o lavorerò all'oliveto che ho già cominciato a piantare... Insomma, lui mi custodirà le pecore mentre io farò tutte le altre cose per procacciare il sostentamento ai suoi fratelli più piccoli...»
«Gavino è ancora troppo piccolo! Come potrà custodire le pecore e far paura ai banditi?»
«Non è necessario che il ragazzo sia grande per custodire le pecore. Quanto ai banditi, poi, avrà fiato sufficiente per chiamarmi da una vallata all'altra, se sarà il caso.»
A questo punto seguì un momento di silenzio come se in aula non vi fosse nessuno al di fuori della sua volontà. «Saprò fare di lui un ottimo pastore capace di produrre latte, formaggio e carne. Lui non deve studiare. Ora deve pensare a crescere. Quando sarà grande, la quinta elementare la farà come fanno molti prima di arruolarsi. Lo studio è roba da ricchi.»
Essa mi lasciò sfogare un po' nel pianto e subito cominciò a prepararmi anche lei alla triste realtà: «Diventerai un grande pastore. Tuo padre ti insegnerà a mungere le pecore e le mucche. Sono molto belle, sai! In campagna, poi, ci sono tanti fiori, molta erba e tanti alberi pieni di uccelli che cantano. Qui a Siligo non c'è nulla!»
Mi sussurrò queste cose cercando di calmare il mio pianto, asciugandomi le lacrime con il suo fazzoletto.
Mio padre, come per vincere il suo stato di disagio, mentre si allontanava , spingendomi verso la porta, non poté fare a meno di cercare ulteriori giustificazioni di fronte alla maestra e agli scolari.
«Ho bisogno di lui, in campagna... diversamente non riuscirò a mandare avanti la famiglia. Ecco! Se il governo mi pagasse un uomo per custodirmi le pecore o mi aiutasse in altro modo, io glielo lascerei... a studiare. Il ragazzo è mio. Cosa vuole questo governo? Che per mandare lui a scuola, gli altri miei figli muoiano di fame? No. No. lo, il ragazzo me lo prendo e lo uso perché non ne posso fare a meno.»
Con le lacrime agli occhi e con quel tuono che stava ancora rintronandomi nella testa, diedi così l'ultimo sguardo all'aula passando in rassegna frettolosamente tutti i banchi.
Nel mio silenzio salutai tutti i compagni imprimendoli nella mente per non scordarli più.
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