(una pagina un fotogramma una scena)

(una pagina un fotogramma una frase una parola un uomo una donna un bambino una scena un istante un ricordo)

venerdì 30 dicembre 2011

"Cecè" - Luigi Pirandello

Ma così conosciuto da tutti ‑ dimmi un po' ‑ chi posso veramente conoscere io? Ridi, ah? Eppure, caro mio, se mi ci fisso, ammattisco. Ma dimmi un po': non è uno strazio pensare che tu vivi sparpagliato in centomila? In centomila che ti conoscono e che tu non conosci? Che sanno tutto di te e che tu non sai neppure come si chiamino? A cui ti tocca sorridere, batter la spalla, dir "Caro! Carissimo!" stando sempre così a mezz'aria, senza mostrarlo, fingendo anzi sempre di ricordarti, d'interessarti? E dentro, intanto, ti domandi: «E chi sarà costui? Come mi conoscerà costui? Chi sarò io per costui?». Perché mi ammetterai che noi non siamo mica sempre gli stessi! Secondo gli umori, secondo i momenti, secondo le relazioni, ora siamo d'un modo, ora d'un altro; allegri con uno, tristi con un altro; seri con questo, burloni con quello... Ti s'accostano, ti chiamano tutti... va' a ricordarti come sei per questo e come sei per quell'altro, se uno ti conosce così o ti conosce cosà. Vedi certuni rimanere a bocca aperta... Non posso mica gridare: «Oh! scusa caro: cancella! Cancella! Per te non sono così: per te devo essere un altro!». Quale altro? Come posso saperlo, se vivo, ti dico, sparpagliato in centomila? Se mi ci fisso, parola d'onore, ammattisco...

(ilaria antoniani)

lunedì 26 dicembre 2011

"Dio in fasce" - Federico Garcia Lorca


E così, Dio scomparso, che voglio averti.
Piccolo cembalo di farina per il neonato.
Brezza e materia unite nell'espressione esatta
per amor della carne che non sa il tuo nome.

E così, forma breve d'inefferabile rumore,
Dio in fasce, Cristo minuscolo ed eterno,
mille volte ripetuto, morto, crocifisso,
dall'impura parola dell'uomo che suda. 

(Federico Garcia Lorca)


(ilaria antoniani)

domenica 27 novembre 2011

"Uno spazio vuoto che va ancora popolato" - Giorgio Gaber


Un uomo affascinato
da uno spazio vuoto
che va ancora popolato.

Popolato da corpi e da anime gioiose
che sanno entrare di slancio
nel cuore delle cose.

Popolato di fervore
e di gente innamorata
ma che crede all'amore
come una cosa concreta.

Popolato da un uomo
che ha scelto il suo cammino
senza gesti clamorosi
per sentirsi qualcuno.

Popolato da chi vive
senza alcuna ipocrisia
col rispetto di se stesso
e della propria pulizia.

Uno spazio vuoto
che va ancora popolato.

Popolato da un uomo talmente vero
che non ha la presunzione
di abbracciare il mondo intero.

Popolato da chi crede
nell'individualismo
ma combatte con forza
qualsiasi forma di egoismo.

Popolato da chi odia il potere
e i suoi eccessi
ma che apprezza
un potere esercitato su se stessi.

Popolato da chi ignora
il passato e il futuro
e che inizia la sua storia
dal punto zero

Uno spazio vuoto
che va ancora popolato.

Popolato da chi é certo
che la donna e l'uomo

siano il grande motore
del cammino umano.

Popolato da un bisogno
che diventa l'espressione
di un gran senso religioso
ma non di religione.

Popolato da chi crede
in una fede sconosciuta
dov'é la morte che scompare
quando appare la vita.

Popolato da un uomo
cui non basta il crocefisso
ma che cerca di trovare
un Dio dentro se stesso.


(Giorgio Gaber) 


(ilaria antoniani)

giovedì 17 novembre 2011

"L'elefante incatenato" - Jorge Bucay

“Non posso” - gli dissi - “Non posso!”
“Ne sei sicuro?” - mi chiese lui.
“Sì, mi piacerebbe tanto sedermi davanti a lei e dirle quello che provo... Ma so che non posso farlo”.
Jorge si sedette come un Buddha su quelle orribili poltrone azzurre del suo studio. Sorrise, mi guardò negli occhie, abbassando la voce come faceva ogni volta che voleva essere ascoltato attentamente, mi disse:
“Ti racconto una storia...”.
E senza aspettare il mio assenso iniziò a raccontare:



“Quando ero piccolo adoravo il circo, mi piacevano soprattutto gli animali. Ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini. Durante lo spettacolo quel bestione faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe.
Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri. E anche se la catena era grossa e forte, mi pareva ovvio che un animale in grado di sradicare un albero potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.
Era davvero un bel mistero.
Che cosa lo teneva legato, allora?
Perchè non scappava?
Quando avevo cinque o sei anni nutrivo ancora fiducia nella saggezza dei grandi. Allora chiesi a un maestro, a un padre o a uno zio di risolvere il mistero dell'elefante. Qualcuno di loro mi spiegò che l’elefante non scappava perchè era ammaestrato. Allora posi la domanda ovvia: “Se è ammaestrato, perchè lo incatenano?”. Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.
Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto e ci pensavo soltanto quando mi imbattevo in altre persone che si erano poste la stessa domanda.
Per mia fortuna, qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato abbastanza saggio da trovare la risposta giusta:

l’elefante del circo non scappa perchè è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.

Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato al paletto. Sono sicuro che, in quel momento, l'elefantino provò a spingere, a tirare e sudava nel tentativo di liberarsi. Ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perchè quel paletto era troppo saldo per lui.
Lo vedevo addormentarsi sfinito e il giorno dopo provarci di nuovo e così il giorno dopo e quello dopo ancora...
Finchè un giorno, un giorno terribile per la sua storia, l'animale accettò l'impotenza rassegnandosi al proprio destino. L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perchè, poveretto, crede di non poterlo fare. Reca impresso il ricordo dell'impotenza sperimentata subito dopo la nascita.
E il brutto è che non è mai più ritornato seriamente su quel ricordo.
E non ha mai più messo alla prova la sua forza, mai più...”

“Proprio così, Demiàn. Siamo un po' tutti come l'elefante del circo: andiamo in giro incatenati a centinaia di paletti che ci tolgono la libertà.
Viviamo pensando che “non possiamo” fare un sacco di cose semplicemente perchè una volta, quando eravamo piccoli, ci avevamo provato ed avevamo fallito.
Allora abbiamo fatto come l'elefante, abbiamo inciso nella memoria questo messaggio: non posso, non posso e non potrò mai.
Siamo cresciuti portandoci dietro il messaggio che ci siamo trasmessi da soli, perciò non proviamo più a liberarci del paletto.
Quando a volte sentiamo la stretta dei ceppie facciamo cigolare le catene, guardiamo con la coda dell'occhio il paletto e pensiamo:
non posso, non posso e non potrò mai”.
Jorge fece una lunga pausa. Quindi si avvicinò, si sedette sul pavimento davanti a me e proseguì:
“E' quello che succede anche a te, Demiàn. Vivi condizionato dal ricordo di un  Demiàn che non esiste più e che non ce l'aveva fatta.
L’unico modo per sapere se puoi farcela è provare di nuovo mettendoci tutto il cuore… tutto il tuo cuore!”


Jorge Bucay, “Lascia che ti racconti. Storie per imparare a vivere”

(ilaria antoniani)

domenica 16 ottobre 2011

"I limoni di Utopia"

Ho visto grappoli di sogni giallo limone
ho visto la bocca storta e buia del cannone
e sui rami gli spini torti di tutti i torti
le punte aguzze sui mali, le bugie e i passi corti
i morti e le foglie che nessuno coglie
ho visto il tunnel buio, il dolore e le sue doglie
aspre come limone, il succo sulla ferita
magre come lupe, lunghe una vita.


(ilaria antoniani)

giovedì 8 settembre 2011

"Breve storia dell'amore eterno" - Szilàrd Rubin



Ero eccitato al pensiero del mattino che stava per sorgere; della distanza che correva tra quella panchina e la casa di Tante Anna: in quanti minuti sarei potuto arrivare fin lì se ci fossi andato di corsa? la paura di perdere Orsolya aveva fatto dissolvere la mia indifferenza. Sentivo il mio corpo aumentare di peso, come se si stesse riempiendo di qualcosa di buono che non trovava spazio sufficiente dentro di esso e finiva per straripare all'esterno. La frescura delle piscine, l'odore di acqua che irradiava alle mie spalle, bastavano ormai a rendere completa la gioia che m'invadeva. Ancora una volta sapevo che quella era la notte più bella della migliore estate della mia vita.

(ilaria antoniani)

venerdì 2 settembre 2011

"Introduzione alla psicoanalisi" - Sigmund Freud

L'inconscio è un particolare regno della psiche con impulsi di desiderio propri, con una propria forma espressiva e con propri caratteristici meccanismi psichici che non vigono altrove.
La possibilità di dare un senso ai sintomi nevrotici mediante l'interpretazione analitica è una prova irrefutabile dell'esistenza - o, se preferite, della necessità dell'ipotesi - dei processi psichici inconsci.


L'interpretazione del sogno è la via regia che porta alla conoscenza dell'inconscio nella vita psichica. 
(L'interpretazione dei sogni)

(ilaria antoniani)

giovedì 1 settembre 2011

"Desolazione del povero poeta sentimentale" - Sergio Corazzini

Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te
arrossirei
... 



(ilaria antoniani)

martedì 23 agosto 2011

"Ma liberaci dal male" - Romain Sardou

Nel monastero di Alberto il Grande, il processo di Purificazione di Aymard di Grand-Cellier cominciò con un semplice questionario scritto. Maestro Drona voleva sapere il suo nome, l'età, il lignaggio dei suoi genitori, il paese nativo, il titolo nobiliare, il ricordo più vecchio che aveva, il nome del luogo in cui si trovava, i nomi del re di Francia e del papa, fino all'argomento del sogno più recente.
Il figlio di Enguerran rispose rapidamente alle dieci domande. Solo all'ultima domanda, quella relativa ai sogni, rispose con un: "Non sogno mai".
Aymard fu quindi condotto nei sotterranei, in un'angusta celletta scavata nel fianco della collina. Lo svestirono completamente e lo legarono a una tavola di legno posta in verticale, davanti a una vasca ricavata anch'essa nella roccia. La vasca era vuota. In giro non si vedevano nè fruste, nè lame, nè tenaglie.
Poco dopo, la porta della celletta si aprì per far entrare un monaco che portava con sè una sedia. Il nuovo venuto non degnò di uno sguardo il corpo nudo di Aymard. Si accomodò a pochi passi da lui. Tra le mani aveva un piccolo libro. Scambiò un'occhiata con Drona, poi aprì il volumetto e cominciò a leggere ad alta voce.
le pagine traboccavano di testi eretici, di offese alla religione, di bestemmie, di resoconti di malefici. Lentamente, con voce pacata, quasi melodiosa, il monaco snocciolava una sfilza di veri e propri orrori. Aymard non riuscì a trattenere un sorriso. "Una ben misera tortura", si disse.
Il maestro fece un segnale al guardiano che si diresse alla porta e fece entrare altri tre monaci. Costoro portavano con grande fatica un enorme bacile colmo di liquido nerastro.
Aymard era immobilizzato alla tavola da solide cinghie di cuoio. Non potè quindi impedire che un monaco gli aprisse a forza la bocca, costringendolo a tenerla spalancata per mezzo di un morso fissato dietro la nuca. A partire da quel momento, i torturatori si tennero pronti a somministrargli, direttamente nello stomaco, il misterioso liquido contenuto nel recipiente.
Era una pozione emetica. Gli effetti furono istantanei. Non appena la prima sorsata gli scese nel ventre, Aymard fu assalito da orribili spasmi e si mise a vomitare violentemente. A ogni conato, la tavola che lo sosteneva basculava leggermente in avanti per permettergli di svuotarsi dentro la vasca nella roccia.
Il monaco, sempre seduta come se nulla fosse, continuava a leggere.
Il trattamento fu inflitto ad Aymard per otto giorni filati. Nel corso della dura prova non gli fu dato da mangiare nè da bere. Quando perdeva conoscenza, lo facevano rinvenire con dei sali e il tormento riprendeva.
Nel momento in cui la quotidiana sessione di tortura aveva termine, Aymard veniva slegato e gettato in una segreta buia. Precipitava allora in un sonno pesante, spossato, nonostante i crampi dolorosi che gli straziavano l'addome. Al risveglio, la tavola e la pozione erano lì ad attenderlo.
Durante le lunghe ore di calvario, gli capitava a volte di perdere la vista, l'udito, il senso dell'equilibrio e la percezione dello spazio. A mano a mano che il supplizio proseguiva, il torturato sviluppava nuovi livelli di coscienza. Dei sensi che non sapeva di avere entravano in azione, indipendentemente gli uni dagli altri.
L'ultimo giorno del trattamento, lo gettarono in una cella diversa, dal suolo ricoperto di paglia. Là, potè riprendere un poco le forze. Per breve tempo.
Per la prima volta gli fu dato da mangiare. Un monaco, interamente vestito di bianco, gli porse a una a una delle piccole ostie imbevute di acqua benedetta. Il prigioniero le inghiottì con infinita gioia, poichè placavano l'incendio che gli divampava nelle viscere.
Tre giorni dopo Aymard fu nuovamente messo di fronte al questionario scritto di Drona. Debole, stravolto, non riuscì a rispondere che alle prime quattro domande.

L'indomani fu condotto in una nuova cella, più simile a una grotta, e un po' più spaziosa della precedente. Legato per i polsi, fu appeso quanto era lungo, le braccia in alto, a una corda fissata al muro.
Il monaco lettore ricomparve, con la sua sedia e il suo libro. Aymard non lo vide prendere posto. Ma non appena sentì la voce e le prime parole dell'antologia, ebbe un violento attacco di nausea. Istintivo.
Con un sibilo sinistro, sentì una fitta di dolore bruciante mordergli le carni della schiena: era stato frustato con una larga cinghia di cuoio. Alcuni monaci passavano sulla sua pelle livida delle lame roventi coperte di cera. Le frustate grandinavano. Il monaco continuava a leggere.
Quando fu slegato, due ore più tardi, Aymard era coperto di sangue. Lo richiusero in cella. La sera, il monaco in bianco venne nuovamente a recitargli salmi e a nutrirlo di ostie benedette.
Aymard rimase in cella tre giorni, solo. Il tempo necessario perchè le piaghe cominciassero a guarire. Poi la tortura della frusta e del coltello riprese.
Qualche giorno più tardi Aymard dovette di nuovo rispondere al questionario di Drona. Questa volta, non rispose a nessuna domanda. Non sapeva più niente.

L'ultimo giorno della Purificazione si svolse nella cella grande. Aymard fu come al solito appeso per le braccia, completamente nudo. Tutti gli strumenti di supplizio delle ultime settimane erano disposti in bella vista davanti al torturato: il bacile di pozione emetica, la tavola basculante, le lame roventi, la frusta e la cera calda.
Aymard aveva l'aria assente. nel buio e nel silenzio delle segrete, aveva ormai scoperto che gli bastava recitare dentro di sè uno dei salmi che il monaco delle ostie gli ripeteva ogni sera all'ora del pasto, perchè riapparisse la sensazione meravigliosa dell'acqua fresca e dell'ostia consacrata che gli si scioglieva in bocca.
Nella cella, il monaco lettore riprese il posto abituale. Aprì il piccolo libro. Istintivamente, vedendo che si preparava a leggere, Aymard rabbrividì. Lo girarono faccia al muro. Alle sue spalle, sentì che i monaci si armavano con le lame e la frusta.
E di colpo sentì su di sè tutte le torture nello stesso momento: la frusta, le lame, la cera bollente, il liquido denso che colava sulle piaghe aperte.
Cominciò ad urlare senza sosta, senza più alcun controllo. Si inarcava per il dolore. Le sue vene si gonfiavano. I tendini del collo erano tesi allo spasimo. Urlava e si sentiva urlare. Il dolore era lancinante. E durò quanto la lettura della prima pagina.
Improvvisamente, il monaco richiuse l'antologia e tacque. Aymard aveva il fiato mozzo, sentiva il sangue colare lungo la schiena.
Padre Profuturus gli si avvicinò. Lentamente, gli sollevò la testa, reggendolo per il mento. Aymard era scosso da brividi. Aveva gli occhi pieni di lacime.
"Che cos'hai imparato?", gli chiese l'abate con tono severo.
Gran-Cellier era stravolto. Riusciva a malapena a sentire.
"Avanti, parla! Che cos'hai imparato?".
Aymard sgranò gli occhi, debolmente. Non capiva cosa gli stava chiedendo l'abate.
Questi sospirò, un po' deluso. Lo fece girare su se stesso.
"Guarda".
Aymard di Grand-Cellier ebbe un sobbalzo come quando ci si risveglia da un incubo. Alle sue spalle, nessuno dei monaci si era mosso, nessun arnese per la tortura era stato usato e nemmeno una goccia di sangue gli colava dalla schiena.
"Allora" - riprese Profuturus - "Rispondi. Che cos'hai imparato?".
Il prigioniero respirava a fatica. Si sentiva come se la testa fosse su punto di scoppiare. Eppure era certo di essersi sentito straziare le carni dai coltelli. Aveva percepito il morso delle armi dei carnefici che gli si insinuavano sotto la pelle.
Nella confusa memoria di Aymard apparve di colpo un viso, un'immagine... il cancelliere Artémidore.

<<Il corpo può sull'anima cose che la mente da sola non oserebbe mai sognare di poter compiere>>


(ilaria antoniani)

sabato 13 agosto 2011

"Viaggio in Portogallo" - Jose’ Saramago

Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.


(ilaria antoniani)

"L'alchimista" - Paulo Coelho


 La tua Leggenda Personale. E' quello che hai sempre desiderato fare. Tutti, all'inizio della gioventù, sanno qual è la propria Leggenda Personale. In quel periodo della vita tutto è chiaro, tutto è possibile, e gli uomini non hanno paura di sognare e di desiderare tutto quello che vorrebbero veder fare nella vita. Ma poi, a mano a mano che il tempo passa, una misteriosa forza comincia a tentare di dimostrare come sia impossibile realizzare la Leggenda Personale. Sono le forze che sembrano negative, ma che in realtà ti insegnano a realizzare la tua Leggenda Personale. Preparano il tuo spirito e la tua volontà. Perché esiste una grande verità su questo pianeta: chiunque tu sia o qualunque cosa tu faccia, quando desideri una cosa con volontà, è perché questo desiderio è nato nell'anima dell'Universo. Quella cosa rappresenta la tua missione sulla terra. L'Anima del Mondo è alimentata dalla felicità degli uomini. O dall'infelicità, dall'invidia, dalla gelosia. Realizzare la propria Leggenda Personale è il solo dovere degli uomini. Tutto è una sola cosa. E quando desideri qualcosa, tutto l'Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio.


(ilaria antoniani)

venerdì 12 agosto 2011

"Ricordi di Palestina. Un viaggio nel paese di Gesu'" - Matilde Serao



 Vi è un viaggiatore comunissimo, che s’incontra dappertutto, il quale passa da un’attività instancabile, sempre coi segni della più vivace curiosità sul volto, che compie le gite più faticose, che si azzarda nei luoghi più rischiosi, che stanca la pazienza di qualunque compagno di viaggio, che si fa maledire da qualunque cicerone, e che ritorna costantemente, da tutti i punti del globo, da lui minuziosamente visitati, manifestando la soddisfazione più sincera. Se, cortesemente, voi gli chiedete conto delle sue impressioni, egli vi comunicherà, con la massima importanza, e come se vi rivelasse una profonda verità segreta, scoperta solo da lui, che le trattorie sono care a Parigi, che Londra ha una ferrovia metropolitana, che la corsa nei vaporino sul Canal Grande di Venezia costa due soldi, che i battelli russi sono meno celeri di quelli austriaci, e che tutta l’acqua di Oriente non è potabile; nonché altre simili novità preziose e acute, che la sua sagacia ha ritrovate, nei suoi viaggi, a prezzo di fatiche, di tempo, e di denaro. Questo viaggiatore, innocuo, del resto, e talvolta anche simpatico nella sua frivolezza, è numeroso come gli astri del firmamento: ed ha la più completa rassomiglianza con uno dei suoi eleganti bauli,tanto che a me sembra, che rientrando in casa egli si vada a collocare tranquillo, immobile, in un cantuccio oscuro, fino a che un nuovo viaggio non mobiliti i suoi bauli e lui.


Un viaggiatore, meno comune, ma non raro, è colui che domanda continuamente il pittoresco, in ogni breve tappa del suo vagabondaggio: i suoi occhi e la sua fantasia hanno sete di linee, di colori, di tinte sempre sorprendenti: egli chiede alla campagna, alla città, al mare, alle chiese, alle persone, di meravigliarlo, ogni sera e ogni mattina. Il suo non è un cervello, ma una galleria di quadri: il suo spirito non è che un panorama, di cui egli desidera sempre cambiare le immagini. Più tardi, poi, quando egli vorrà percorrere, di nuovo, con la mente, quello che vide, questi quadri, non legati fra loro da un’idea, non congiunti dalla logica di un costante pensiero, dal filo di un sentimento, si confonderanno, sovrapponendosi: fuggito il rapido piacere del senso visivo, non legato lo spirito a una espressione intima, questi ricordi di viaggio si disperderanno: e vano sarà stato il suo lungo errare, di paese in paese.


Ma, io conosco un viaggiatore diverso da tutti gli altri, uomo o donna che sia, giovane, vecchio, povero, ricco: un viaggiatore sentimentale e bizzarro, che obbedisce singolarmente a una curiosità esclusiva, unica, assorbente. Costui, a traversa ai costumi ed ai paesaggi, oltre le foggie e i colori, oltre le leggende della fantasia e le memorie della storia, chiede qualche cosa di più intimo, ai paesi che lo vedono apparire, singolar pellegrino del cuore. Costui, viaggiando, mentre trascura certi aspetti di cose e di persone, che sembrano più importanti, ne ricerca altri più umili, meno interessanti: mentre resta poco tempo in una grande città, si attarda due giorni nell’albergo di un villaggio: mentre non penetra in un museo, è attirato da una fiera campestre: mentre non sa estasiarsi dove tutti si estasiano, ha un grido di ammirazione per qualche cosa che non attira nessuno. Questo viaggiatore silenzioso, capriccioso, ostinato, preso dalla sua singolar ricerca, è colui che vuol vedere palpitar l’anima dei paesi che attraversa. Ogni paese ha un’anima, lo sapete. Dove essa risiede, mai? Chi lo dirà? Inafferrabile e pure reale: fuggitiva e pure onnipresente, fluttuante, fluida, l’anima di un paese è, talvolta, negli occhi delle sue donne, in una sua via, in un paesaggio, a una cert’ora, in un frammento di statua, in un’arme arrugginita, in una canzone, in una parola. È un fiore, talvolta, l’anima di un paese.


(ilaria antoniani)

venerdì 5 agosto 2011

"Non sto pensando a niente" - Fernando Pessoa

Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l'aria notturna,
fresca in confronto all'estate calda del giorno.

Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente
è avere l'anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita...
Non sto pensando a niente.
È come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente...


(ilaria antoniani)

mercoledì 3 agosto 2011

"Vieni con me" - Hermann Hesse

Vieni con me!
Devi affrettarti però -
sette lunghe miglia
io faccio ad ogni passo.
Dietro il bosco ed il colle
aspetta il mio cavallo rosso.
Vieni con me! Afferro le redini -
vieni con me nel mio castello rosso.
Lì crescono alberi blu
con mele d'oro,
là sogniamo sogni d'argento,
che nessun altro può sognare.
Là dormono rari piaceri,
che nessuno finora ha assaggiato,
sotto gli allori baci purpurei -
Vieni con me per boschi e colli!
tienti forte! Affero le redini,
e tremando il mio cavallo ti rapisce.
 

(ilaria antoniani)
 

martedì 2 agosto 2011

"Una santa americana" - Sylvia Plath


Ci sono amori senza paradiso.
Solitudini che seccano sul grembo
come macchie di parto.
Ted ha messo il suo cuore sotto spirito.
Lei adesso è immortale.
Un altare, una statua,
una icona.
È qui per restare:
sole che nasce all’incontrario,
bocca magica che vomita gigli.
È una madonna azzurra
che brilla sopra il nostro letto.
Ci scruta in silenzio. La bocca dolorosa,
immobile come la luna.
È un geyser che schizza su un continente buio.
Nel suo stomaco fermentano semi,
frumento, bulbi di fiori pronti ad esplodere.
Una divinità preistorica:
corpo di marmo
senza ombelico,
senza padre, né madre.
 

(ilaria antoniani)
 

domenica 24 luglio 2011

"Ho pena delle stelle" - Fernando Pessoa

Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo...
Ho pena delle stelle.

Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?

Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l’essere triste lume o un sorriso...

Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un’altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?


(ilaria antoniani)

martedì 19 luglio 2011

"Valore" - Erri De Luca

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello
che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.


(ilaria antoniani)

lunedì 18 luglio 2011

Jacques Lacan

"Lo psicanalista non è un esploratore di continenti sconosciuti o di profondità, è un linguista; egli insegna a decifrare la scrittura che è lì, sotto gli occhi, offerta allo sguardo di tutti. Ma che resta indecifrabile fino a quando non se ne conoscono le leggi, la chiave"


(ilaria antoniani)

"Donne dagli occhi grandi" - Ángeles Mastretta



 La zia Daniela s'innamorò come s'innamorano sempre le donne intelligenti: come un'idiota. Lo aveva visto arrivare un mattino, le spalle erette e il passo sereno, e aveva pensato: "Quest'uomo si crede Dio". Ma dopo averlo sentito raccontare storie di mondi lontani e di passioni sconosciute, si innamorò di lui e delle sue braccia come se non parlasse latino sin da bambina, non avesse studiato logica e non avesse sorpreso mezza città imitando i giochi poetici di Gòngora.
Era tanto colta che nessun uomo voleva mettersi con lei, per quanto avesse occhi di miele e labbra di rugiada, per quanto il suo corpo solleticasse l'immaginazione risvegliando il desiderio di vederlo nudo, per quanto fosse bella come la Madonna del Rosario. Gli uomini avevano paura di amarla, perchè c'era qualcosa nella sua intelligenza che suggeriva sempre un disprezzo per il sesso opposto e le sue incertezze.
Ma quell'uomo che nulla sapeva di lei e dei suoi libri le si accostò come a chiunque altra. Allora la zia Daniela lo dotò di un'intelligenza abbagliante, una virtù angelica e un talento d'artista. Lo amò convinta che Dio possa aggirarsi tra i mortali, dedicando tutta se stessa ai desideri e alle stramberie di un uomo che non aveva mai avuto intenzione di rimanere e non aveva mai capito neppure uno di tutti i poemi che Daniela aveva voluto leggergli per spiegargli il suo amore.

(ilaria antoniani)

sabato 16 luglio 2011

"Mi piaci silenziosa" - Pablo Neruda

Mi piaci silenziosa, perchè sei come assente,
mi senti da lontano e la mia voce non ti tocca.
Par quasi che i tuoi occhi siano volati via
ed è come se un bacio ti chiudesse la bocca.

Tutte le cose sono colme della mia anima
e tu da loro emergi, colma d'anima mia.
Farfalla di sogno, assomigli alla mia anima
ed assomigli alla parola malinconia.

Mi piaci silenziosa, quando sembri distante.
E sembri lamentarti, tubante farfalla.
E mi senti da lontano e la mia voce non ti arriva:
lascia che il tuo silenzio sia il mio silenzio stesso.

Lascia che il tuo silenzio sia anche il mio parlarti,
lucido come fiamma, semplice come anello.
Tu sei come la notte, taciturna e stellata.
Di stella è il tuo silenzio, così lontano e semplice.

Mi piaci silenziosa perché sei come assente.
Distante e dolorosa come fossi morta.
Basta allora un sorriso, una parola basta.
 
E sono lieto, lieto che questo non sia vero.






(ilaria antoniani)

venerdì 15 luglio 2011

"Espiazione"

"L'effetto di tutta questa sincerità era così disumano che non riuscivo davvero più a immaginare quale ne sarebbe stato lo scopo"



- "So che quello che ho fatto è stato terribile, non mi aspetto che mi perdoni"
- "Tranquilla. Non ti perdono"

(ilaria antoniani)

mercoledì 13 luglio 2011

"Canzone dell'uomo infedele" - Alda Merini

Il mio uomo è uguale al Signore
il mio uomo è uguale agli dèi
se lui mi tocca
io mi sento una donna
e mi sento l’acqua che scorre
nei lecci della vita.
Il mio uomo è un purosangue che corre
mentre io cavallerizza da nulla
sto immobile a terra
il mio uomo è una chitarra felice
e io sono la sua canzone
ma lui non mi canta mai
perché?
Aspetto che la chitarra si rompa
per vivere...
Il mio uomo è un uomo crudele
il mio uomo è la mia preghiera
è uguale a Rilke e a Garcìa
è uguale a Savonarola
ma il mio uomo tocca altri inguini ed altri capelli
è generoso con le fanciulle dorate
e lascia me povera
di vecchiezza e di vita a morire per lui.
Il mio uomo se si denuda
ha il petto villoso come le aquile
ma un rostro che ferisce a fondo
e punisce i pentimenti d’amore
allora io gli mostro le mie carni ferite
e maledico la sorte,
ma se il mio uomo sorride
io torno a fiorire e divento una bianca luna
che si specchia nel mare.

(Alda Merini)



(ilaria antoniani)

giovedì 7 luglio 2011

"Il Piccolo Principe" - Antoine de Saint-Exupéry

 "NON SI VEDE BENE CHE COL CUORE. L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI"

In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..."
"Chi sei?" domando' il piccolo principe, "sei molto carino..."
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono cosi' triste..."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomestica".
"Ah! scusa", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire <addomesticare>?"
"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire <creare dei legami>..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo".
"Comincio a capire" disse il piccolo principe. "C'e' un fiore... credo che mi abbia addomesticato..."
"E' possibile", disse la volpe. "Capita di tutto sulla Terra..."
"Oh! non e' sulla Terra", disse il piccolo principe.
La volpe sembro' perplessa:
"La mia vita e' monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio'. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara' illuminata. Conoscero' un rumore di passi che sara' diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara' uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu' in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e' inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e' triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sara' meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e' dorato, mi fara' pensare a te. E amero' il rumore del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardo' a lungo il piccolo principe:
"Per favore... addomesticami", disse.
"Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, pero'. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose".
"Non ci conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno piu' tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose gia' fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno piu' amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!"
"Che cosa bisogna fare?" domando' il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, cosi', nell'erba. Io ti guardero' con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' piu' vicino..."
Il piccolo principe ritorno' l'indomani.
 
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.
"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincero' ad essere felice. Col passare dell'ora aumentera' la mia felicita'. Quando saranno le quattro, incomincero' ad agitarmi e ad inquietarmi; scopriro' il prezzo della felicita'! Ma se tu vieni non si sa quando, io non sapro' mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
"Che cos'e' un rito?" disse il piccolo principe.
"Anche questa e' una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'e' un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi e' un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza".
Cosi' il piccolo principe addomestico' la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangerò'".
"La colpa e' tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".

 
(ilaria antoniani)

mercoledì 6 luglio 2011

"Per il mio cuore basta il tuo petto" - Pablo Neruda

Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla tua bocca arriverà fino al cielo
ciò che stava sopito sulla mia anima.

E' in te l'illusione di un giorno.
Giungi come rugiada sulle corolle.
Scavi l'orizzonte con la tua assenza,
Eternamente in fuga come l'onda.

Ho detto che cantavi nel vento
come i pini e come gli alberi maestri delle navi.
Come quelli sei alta e taciturna.
E di colpo ti rattristi, come un viaggio.

Accogliente come una vecchia strada.
Ti popolano echi e voci nostalgiche.
Io mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono
gli uccelli che dormivano nella tua anima.


(ilaria antoniani)

martedì 5 luglio 2011

"Il maleficio della farfalla" - Federico Garcia Lorca



Terza Lucciola: Forse sei una fata?

Farfalla: Chissà cosa sono stata...

Prima Lucciola: Vien la mattina: gioisci dell'amore. Bevi contenta le goccioline di rugiada.

Farfalla: Non so cos'è l'amore.

Prima Lucciola: L'amore è il bacio nella pace del nido, mentre le foglioline tremano specchiandosi nell'acqua.

Farfalla: Ho le ali spezzate e il mio corpo è gelato.

Prima Lucciola: Ma puoi baciare e muovere le antenne.

Farfalla: Ah! Non ho più la bocca.

Seconda Lucciola: Il tuo vestito è meraviglioso.

Farfalla: E voi chi siete? Siete stelle?

Prima Lucciola: Siamo in cerca di un'anima innamorata, andiamo inebriate d'amore per la nostra strada.

Farfalla: Io non so cos'è l'amore.

La storia è semplice e tragica, è la storia tormentata di chi - volendo graffiare la luna - si graffia invece il cuore. L'amore, così come turbina con truffe e fallimenti nella vita degli uomini, tempesta qui: in un prato sperduto popolato da insetti, dove prima la vita era calma e tranquilla. Gli animaletti vivevano contenti. Si amavano per consuetudine e senza nessuna difficoltà. L'amore andava dal padre al figlio come un antico gioiello preziosissimo. Come tranquillo e certo il polline dei fiori si adagia nel vento, così loro si lasciavano andare all'amore tra gli umidi fili d'erba. Ma un giorno un insetto volle guardare oltre l'amore. Forse comprese soffrendo qualche libro di poesie abbandonato sul muschio da qualcuno di quegli ultimi poeti che vanno ancora per la campagna. Così prego tutti di non abbandonare mai libri di poesie per i campi, perchè sareste causa di grande tristezza fra gli insetti. E' inutile dirvi che l'animaletto innamorato morì.


(ilaria antoniani)

domenica 3 luglio 2011

"Se devi amarmi" - Elizabeth Barrett Browning

Se devi amarmi, per null'altro sia
se non che per amore.
Mai non dire:
"L'amo per il sorriso,
per lo sguardo,
la gentilezza del parlare,
il modo di pensare
così conforme al mio,
che mi rese sereno un giorno".
Queste son tutte cose
che posson mutare,
Amato, in sé o per te, un amore
così sorto potrebbe poi morire.
E non amarmi per pietà di lacrime
che bagnino il mio volto.
Può scordare il pianto
chi ebbe a lungo
il tuo conforto, e perderti.
Soltanto per amore amami
e per sempre, per l'eternità.


(ilaria antoniani)

"The Doors"

3 luglio 1971
"Darei la vita per non morire"
 "Datemi un sogno in cui vivere perchè la realtà mi sta uccidendo"

sabato 2 luglio 2011

"Per noi" - Vladimir Majakovskij

L'amore
non è paradiso terrestre,
a noi
l'amore
annunzia ronzando
che di nuovo
è stato messo in marcia
il motore
raffreddato del cuore.
 
(ilaria antoniani)
 

giovedì 30 giugno 2011

"Sei la mia schiavitù sei la mia libertà" - Nazim Hikmet


 
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.

(Nazim  Hikmet)

(ilaria antoniani)

"Mamma mia" - Abba

"Crediamo che l'amore sia l'unica via"


(ilaria antoniani)

"Li burattini" - Trilussa



Guarda li burattini su la scena
co' che importanza pijeno la cosa:
guarda er guerriero ch'aria contegnosa,
come se sbatte bene, come mena!
Vince tutti! E' teribbile! Ma appena
la mano che lo move se riposa,
l'eroe s'incanta e resta in una posa
che spesso te fa ride o te fa pena.
Lo stesso è l'omo. L'omo è un burattino
che fa la parte sua fino ar momento
ch'è mosso da la mano der destino;
ma ammalappena ch'er burattinaro
se stufa de tenello in movimento,
bona notte, Gesù, ch'è l'ojo è caro!
Li burattini, doppo lavorato,
finischeno ammucchiati in un cantone,
tutti in un mazzo, senza fa' questione
sopra la parte ch'hanno recitato.
Così ritrovi er boja abbraccicato
ar prete che je dà l'assoluzzione,
mentre l'eroe rimane a pennolone
vicino a li nemmichi ch'ha ammazzato.
E' solo lì ch'esiste un'uguaglianza
che t'avvicina er povero pupazzo
ar burattino che se dà importanza:
e, unito ner medesimo pensiero,
pare che puro er Re, framezzo ar mazzo,
diventi democratico davero!

(ilaria antoniani)

martedì 28 giugno 2011

"Cabaret"

"Gli farò vedere io! Io diventerò un pianeta anziché una stella!"
"Chissà quanto pagherei perché tu potessi ascoltarti, alle volte, e sentire tutte le cretinate che dici!"

(ilaria antoniani)

domenica 26 giugno 2011

"Cecità" - Josè Saramago

Perchè siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.


Era dunque ben sveglio il primo cieco, e se altra prova fosse stata necessaria, c'era sempre quel biancore offuscante degli occhi che probabilmente soltanto il sonno rabbuiava, ma non si poteva esser certi neppure di questo, dal momento che nessunopoteva essere contemporaneamente addormentato e vigile. Ritenne il primo cieco di aver chiarito finalmente questo dubbio quando, all'improvviso, l'interno delle palpebre gli si fece buio, Mi sono addormentato, pensò, invece no, non si era addormentato, continuava a sentire la voce della moglie del medico, il ragazzino strabico tossì, allora fu colto da una gran paura, credette di essre passato da una cecità all'altra, che dopo aver vissuto nella cecità della luce adesso sarebbe vissuto nella cecità della tenebra, il terrore lo fece gemere, Cos'hai, gli domandò la moglie, e lui rispose stupidamente, senza aprire gli occhi, Sonon cieco, come se fosse l'ultima novità del mondo, lei lo abbracciò affettuosamente, Via, ciechi lo siamo tutti, non c'è niente da fare, Ho visto tutto buio, credevo di essermi addormentato, e invece no, sono sveglio, E' quel che dovresti fare, dormire, non pensarci. Irritato, con l'acida risposta già sulla punta della lingua, aprì gli occhi e vide. Vide e gridò, Vedo. Il primo fu ancora il grido dell'incredulità, ma col secondo, e col terzo, e con tutti gli altri, a poco a poco si rinsaldò l'evidenza, Vedo, vedo, come un pazzo abbracciò la moglie, poi corse dalla moglie del medico e abbracciò pure lei, la vedeva per la prima volta, ma sapeva chi era, e il medico, e la ragazza dagli occhiali scuri, e il vecchio dalla benda nera. La moglie del medico cominciò a piangere, avrebbe dovuto essere contenta e piangeva, come sono curiose le reazioni della gente, chiaro che era contenta, mio Dio, è talmente facile da capire, piangeva perchè di colpo le si era esaurita la resistenza mentale, era come una bimba appena nata e questo pianto era il suo primo e ancora inconsapevole vagito. Il cane delle lacrime le si avvicinò, questo cane sa sempre quando qualcuno ha assoluto bisogno di lui, perciò la moglie del medico gli si aggrappò, non perchè non volesse bene al marito, ma il quel momento fu talmente intensa la sua impressione di solitudine, talmente insopportabile da sembrarle che solo avrebbe potuto mitigarla quella strana sete con cui il cane beveva le sue lacrime.


(ilaria antoniani)

sabato 25 giugno 2011

"Sotto cieli noncuranti" - Benedetta Cibrario


Il mondo è fatto di dettagli. Noi siamo un agglomerato di dettagli.
Siamo una manciata di neve fresca che si scoglie al calore della mano.
Palline di mercurio, sensazioni imprecisate, trascuratezze, minuti evaporati. Mezze frasi a cui non si è prestata attenzione, facce di cui non si ricorda più l’espressione. Avvertimenti. Segnali. Intuizioni. Paure, premonizioni, fesserie, sogni che si infrangono e sogni che si avverano, siamo gli oggetti che intasano le nostre case, le memorie che si accavallano e perdono di senso, fuse come in un significato nuovo.
Siamo le disattenzioni. Le conseguenze. Le fortune immeritate. Le sventure.
Siamo addormentati sotto cieli noncuranti, cieli che sono ovunque benché la neve li nasconda allo sguardo, come a proteggerli dalle domande di fuoco che incendiano la testa.
Avrei soltanto voluto avere il tempo di spiegare a un bambino dalle ciglia scure che i semi di melagrana sono traslucidi e che i bottoni di madreperla un tempo sono stati conchiglie cullate dal mare.
E che non siamo capaci di volare. Non lo saremo mai.

Benedetta Cibrario

(ilaria antoniani)

venerdì 24 giugno 2011

"Questo lato della verità" - Dylan Thomas

Questo lato della verità,
Non puoi vederlo, figlio mio,
Re dei tuoi occhi azzurri nel paese
Dell'accecante gioventù,
Che ogni cosa è annientata,
Sotto i cieli noncuranti,
D'innocenza e di colpa
Prima che tu ti accinga
A un gesto del cuore o della mente,
Esso è colto e disperso
Nel buio turbinante
Come la polvere dei morti.

Dylan Thomas Questo lato della verità

This side of the truth,
You may not see, my son,
King of your blue eyes
In the blinding country of youth,
That all is undone,
Under the unminding skies,
Of innocence and guilt
Before you move to make
One gesture of the heart or head,
Is gathered and spilt
Into the winding dark
Like the dust of the dead.

Dylan Thomas

(ilaria antoniani)

giovedì 23 giugno 2011

"Ti amo come se mangiassi il pane" - Nazim Hikmet



Ti amo come se mangiassi il pane
spruzzandolo di sale
come se alzandomi la notte bruciante di febbre
bevessi l'acqua con le labbra sul rubinetto
ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so che cosa contenga e da chi pieno di gioia
pieno di sospetto agitato
ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo
ti amo come qualche cosa che si muove in me quando il
crepuscolo scende su Istanbul poco a poco
ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.

Nazim Hikmet

(ilaria antoniani)

martedì 21 giugno 2011

"Per Tina Modotti" - Pablo Neruda


Tina Modotti, sorella, non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l'ultima rosa di ieri, la rosa nuova.
Riposa dolcemente, sorella.

La nuova rosa è tua, tua è la nuova terra:
ti sei messa un nuovo vestito di seme profondo
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella.

Puro è il tuo dolce nome, pura è la tua fragile vita:
d'ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma;
d'acciaio, linea, polline, si costruì la tua ferrea,
esile struttura.

Lo sciacallo sul tuo prezioso corpo addormentato
protende la penna e l'anima insanguinate
come se tu potessi, sorella, levarti
sorridendo al di sopra del fango.

Nella mia patria ti porto perché non ti sfiorino
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non giunga l'assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai in pace.

Lo senti quel passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grandioso che viene dalla steppa, dal Don, dal freddo?
Lo senti quel passo fiero di soldato sulla neve?
Sorella, sono i tuoi passi.

E passeranno un giorno dalla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri appassiscano;
passeranno per vedere quelli di un giorno, domani,
dove stia ardendo il tuo silenzio.

Un mondo marcia verso dove andavi tu, sorella.
Ogni giorno cantano i canti delle tue labbra
sulle labbra del popolo glorioso che tu amavi.
Col tuo cuore valoroso.
Nei vecchi focolari della tua patria, sulle strade
polverose, una parola passa di bocca in bocca
qualcosa riaccende la fiamma delle tue adorate genti,
qualcosa si sveglia e comincia a cantare.

Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il nome tuo
noi che da ogni luogo delle acque e della terra
col tuo nome altri nomi taciamo e pronunciamo.
Perché il fuoco non muore.


(Pablo Neruda)


(ilaria antoniani)